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Croazia-Serbia: amici mai. Dal campo di calcio al campo di guerra

  • Immagine del redattore: baldifederico
    baldifederico
  • 8 dic 2017
  • Tempo di lettura: 3 min



13 maggio 1990 stadio Maksimir di Zagabria, è in programma la sfida tra i padroni di casa della Dinamo Zagabria e gli avversari della Stella Rossa Belgrado, gara valevole per il campionato jugoslavo, ma quel giorno a scendere in campo non furono due squadre bensì due nazioni sull’orlo di una guerra civile. Da un lato infatti i croati sostenitori della Dinamo Zagabria inneggiavano all’indipendenza della propria nazione, dall’altro i serbi, tifosi della Stella Rossa proclamavano la loro Serbia come unica nazione al comando dell’unione jugoslava: non sarà una partita normale ma il preludio di uno scontro fratricida. Quel match non inizierà mai, perlomeno sul rettangolo verde, a scontrarsi saranno infatti solo le due tifoserie, quella serba i “Delije” farà il suo ingresso a Zagabria con circa 3000 ultras guidati dal loro capo noto come “Arkan”, non solo un tifoso, ma un personaggio eroe di guerra per i serbi durante il conflitto jugoslavo a capo di organizzazioni paramilitari, dall’altra parte gli ultras croati “BBB- Bad Blue Boys”: prima del fischio d’inizio i tifosi di Belgrado, confinati nel loro settore di stadio iniziano ad inveire con cori contro gli avversari croati, ben presto dalle parole si passa ai fatti, le fazioni vengono a contatto, coltelli e sedie le armi dello scontro, appaiono come due tifoserie in realtà sono due nazioni, non si combatte per una squadra ma per un popolo, non si difendono i colori calcistici ma le bandiere dei propri paesi, quella che doveva essere una partita di calcio si trasformerà in un conflitto etnico, lo stadio in un campo di battaglia.



La polizia, chiamata a vigilare sull’ordine pubblico, carica solo i tifosi della Dinamo, il motivo è semplice, nella Croazia (ancora jugoslava), i serbi che rappresentavano circa il 14% della popolazione, lavoravano per lo più nell’esercito e nella polizia, così l’obiettività delle forze dell’ordine lasciava a desiderare e gli ultras della Stella Rossa vennero lasciati agire. L’invasione di campo è inevitabile, persino i giocatori della Dinamo Zagabria scendono sul terreno, ma non per giocare, anzi per partecipare allo scontro: il capitano della Dinamo Zagabria Zvonimir Boban (futuro attaccante del Milan) colpisce un agente con un calcio volante per difendere un tifoso croato, Boban rischia il linciaggio, la situazione degenera, il giocatore viene tratto in salvo giusto in tempo dai suoi dirigenti, ma gli scontri continuano dentro e fuori lo stadio fino a notte fonda con un bilancio pesante tra feriti ed arresti.

“Ho reagito ad una grande ingiustizia, così chiara che uno non poteva rimanere indifferente. Quando il poliziotto mi ha colpito ho risposto”, raccontò così Boban quell’episodio, che gli costò sei mesi di squalifica ma che lo fece diventare un eroe per il popolo croato.


Un episodio come punto di partenza dell’indipendenza croata, una partita di calcio come antipasto di uno scontro tra nazioni. A distanza di anni, la ferita nei Balcani non è ancora stata del tutto rimarginata, il 9 ottobre 1999, per la prima volta dopo la guerra, scesero in campo per una partita valevole per la qualificazione agli Europei la nazionale croata contro quella jugoslava, “lo stadio di Zagabria era un vulcano, la polizia ovunque, la guerra ancora sulla pelle” racconta così Sinisa Mihajlovic quella “prima volta” da giocatore della Serbia (ancora Jugoslavia) contro la Croazia: uno striscione della curva croata recita “Vukovar 1991”, la città simbolo della guerra, non esattamente un’accoglienza cordiale quella dei padroni di casa, il segno della guerra era ancora troppo vivo. “La partita più sentita della mia carriera” dice Mihajlovic, per la cronaca finirà 2-2, qualificazione per la Jugoslavia e Croazia a casa.

I successivi scontri tra le due nazionali saranno sentitissimi, perché dentro ogni partita non si lotterà mai più solo per i tre punti, ma per la storia del proprio paese, in onore di chi ha versato sangue per l’indipendenza della nazione, non sarà mai una partita come le altre, forse non potrà mai esserlo, perché Serbia e Croazia non saranno mai più una cosa sola, anzi, forse non lo sono mai state.







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