I Videogiochi sono sport?
- Leonardo Burberi
- 8 dic 2017
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 11 dic 2017
Considerazioni e riflessioni su una questione che spacca il pubblico.

I videogiochi negli ultimi dieci anni hanno subito una trasformazione incredibile, passando da fenomeno di nicchia riservato a pochi appassionati a fenomeno di massa: oggi tutti, che sia un gioco multiplayer ultra-competitivo o un semplice puzzle per cellulare, in qualche modo videogiochiamo. Col passare degli anni e con l’ avvento di linee internet sempre più potenti e performanti abbiamo assistito alla diffusione del videogaming multiplayer, ovvero videogiochi che non mettevano più il giocatore di fronte a sfide contro il gioco in se’, ma contro altri giocatori reali sparsi per tutto il pianeta: se prima il multiplayer competitivo era spesso e volentieri un “accessorio” inserito in giochi dal più ampio contesto, da qualche tempo a questa parte abbiamo assistito alla creazione e commercializzazione di nuove tipologie di videogiochi basati esclusivamente su di esso, con il risultato che il pubblico ne è entusiata: giochi famosissimi come League of Legends, Overwatch, DOTA e molti altri hanno un’ utenza attiva che supera abbondantemente il milione ed ogni anno i tornei che le compagnie produttrici di questi giochi organizzano, hanno un seguito e un montepremi che non hanno nulla da invidiare alle blasonate competizioni degli sport tradizionali.
Per portare un esempio pratico, l’ ultimo torneo Mondiale di League of Legends ha visto un picco di 2 milioni di spettatori connessi durante la finale vinta dalla squadra cinese dei Samsung Galaxy, i cui membri si sono aggiudicati un montepremi premi di 1 milione e mezzo di dollari.

Altro celebre esempio è il First Person shooter della Blizzard "Overwatch": E’ stato appena creato un campionato sportivo sullo stile NBA chiamato “Overwatch League” a cui parteciperanno 12 franchigie provenienti da altrettante città del mondo, e ogni squadra avrà i propri colori sociali e divise da casa e da trasferta sugli avatar del gioco, proprio come se si trattassero di squadre “reali”.

Dopo questa introduzione, che serviva a contestualizzare la portata del fenomeno, dobbiamo arrivare al cuore delle questione: I videogiochi sono sport o no? Questa questione ha animato la stampa videoludica e non durante l’ ultimo mese, visto che a fine ottobre il Comitato Olimpico Internazionale aveva aperto ai videogiochi come sport con un comunicato in cui si affermava che "Gli e-sport sono competitivi e possono essere considerati un'attività sportiva, e i giocatori coinvolti si preparano e allenano con un'intensità che può essere paragonata a quella degli atleti delle discipline tradizionali". Ovviamente non sono mancati i detrattori, alcuni non propri trascurabili, come Giovanni Malagò presidente del CONI che in una recente intervista alla trasmissione televisiva “Che Tempo Che Fa” ha affermato come tutta la questione e-sport per lui sia niente più che una “stupidaggine”.
Se siete arrivati a leggere fino a qui probabilmente vi interessa anche sapere la mia opinione, ed io da appassionato sia di sport tradizionali che di videogiochi non posso che non trovarmi a metà tra chi vorrebbe gli e-sport alle olimpiadi e chi invece ha diverse remore sulla questione, per una serie di motivi che andrò a spiegarvi nelle prossime righe. Intanto partiamo col capire cosa è lo “sport”.
L’ Enciclopedia Treccani definisce “sport” nel seguente modo: “Attività intesa a sviluppare le capacità fisiche e insieme psichiche, e il complesso degli esercizi e delle manifestazioni, soprattutto agonistiche, in cui tale attività si realizza, praticati nel rispetto di regole codificate da appositi enti, sia per spirito competitivo (accompagnandosi o differenziandosi, così, dal gioco in senso proprio), sia, fin dalle origini, per divertimento, senza quindi il carattere di necessità, di obbligo, proprio di ogni attività lavorativa.”
Da tale definizione possiamo evincere come la dimensione psichica e quella fisica si equivalgono all' interno dello sport, mentre ciò che rende l’ attività sportiva tale è
l’ aspetto agonistico: è quindi l' agonismo la caratteristica che veramente distingue lo sport da ciò che non lo è, per cui un videogioco il cui scopo è quello di competere contro altri giocatori potrebbe rientrare tranquillamente nella definizione, inoltre vi sono sport già presenti da anni alle olimpiadi come il tiro al piattello o il tiro con l’ arco che hanno bassissimi livelli di fisicità, proprio come gli sport video-ludici.

Nonostante questo la stessa definizione dell’ enciclopedia Treccani mi porta a fare una riflessione che scatena in me delle riserve sull’ entrata degli e-sport alle olimpiadi, questo perché in essa viene scritto che le attività sportive devono essere praticate “nel rispetto di regole codificate da appositi enti”, se infatti gli sport tradizionali nel mondo posseggono istituzioni e federazioni che le disciplinano, i videogiochi vengono fatti da compagnie commerciali il cui scopo principale è vendere il proprio prodotto e guadagnare: a differenza degli sport tradizionali, dove il buisness è subentrato dopo, i videogiochi sono prima prodotti da vendere e poi (forse) sport e quindi regolati da meccanismi intrinsecamente diversi: i produttori di videogiochi metteranno sempre prima il denaro allo spirito sportivo, inoltre c’è anche da mettere a fuoco la questione delle regole: le compagnie che gestiscono i videogiochi possono cambiarne le regole dei giochi in modo arbitrario e spesso velocissimo, mentre negli sport reali spesso e volentieri si modificano le vecchie regole e se ne aggiungono di nuove con il
contagocce, proprio per non snaturare troppo quella che è la base dello sport.
Quindi per rispondere alla domanda che ci siamo fatti a metà testo, si per me i videogiochi competitivi online sono da considerare a tutti gli effetti come veri sport, ma allo stato attuale non potrebbero ambire ad un posto alle olimpiadi, ma non per il fatto che per videogiocare lo sforzo fisico è poco, quanto per il fatto che i videogiochi rispondono prima di tutto a logiche commerciali (quali sono i videogiochi degni di andare alle olimpiadi? Quelli più “sportivi” o quelli che hanno più successo?) e poi per la liquidità delle regole dei videogiochi stessi e del loro bilanciamento, che spesso e volentieri viene stravolto e cambiato con aggiornamenti e nuove uscite.
Sicuramente in un prossimo futuro vedremo i videogiochi alle olimpiadi, il processo è già in atto da anni e i tempi stanno maturando, basta volgere lo sguardo alla Corea del Sud dove il videogioco si strategia in tempo reale Starcraft 2 è considerato lo sport nazionale a tutti gli effetti. In conclusione per risolvere la diatriba tra i favorevoli e i contrari, bisognerebbe istituire degli enti appositi in accordo con le multinazionali produttrici dei videogiochi che controllino e supervisionino quali giochi e in che versioni entrino a far parte della rosa delle discipline olimpiche, in modo da fargli ottenere quelle caratteristiche peculiare degli sport adatti ad una manifestazione importante come quella Olimpica.
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