Tra tradizione e follia: il Calcio Storico Fiorentino
- baldifederico
- 10 gen 2018
- Tempo di lettura: 5 min

Ci sono tradizioni che attraversano secoli, superano guerre, resistono a conquiste, non si piegano a cambi di mentalità, di usi, di costumi, si mantengono inalterate e arrivano fino ad oggi, proiettando nel presente eventi millenari, facendo rivivere per attimi, momenti, giorni, qualcosa che risale a molto tempo fa. Se vi è capitato di trovarvi per le strade del centro storico di Firenze verso la fine del mese di giugno, vi sarà sembrato come di essere catapultati indietro nel tempo di quasi cinquecento anni, quando il 17 febbraio 1530 dopo la cacciata della famiglia de’ Medici da Firenze, venne instaurata la repubblica fiorentina; era un momento di festa, che coincideva con il carnevale, celebrato, nonostante la città fosse in procinto di essere assediata dalle truppe papali, con una partita “di pallone” in piazza, in segno di sfida nei confronti dei nemici, che dalla collina potevano osservare il senso di superiorità della popolazione fiorentina che non si preoccupava minimamente dell’avversario agguerrito, talmente era consapevole della propria forza. Quella partita però non era una vera partita “di pallone”, si trattava di “Harpastum”, una forma di allenamento usata in origine dai legionari romani in preparazione alla guerra nei momenti di pace: si formavano due squadre, ci si schierava in un campo rettangolare, un pallone, un obiettivo, portare la palla dall’altra parte del campo, regole? Poche, era concesso praticamente di tutto, corpo a corpo, lotta, calci, pugni, ogni mossa era lecita pur di fermare l’avversario.

Tale pratica è considerata oggi l’antenato del calcio, in realtà mischia in sé diverse discipline come il rugby, la lotta, il pugilato; col passare degli anni però, venne abolita in quanto considerata troppo violenta, si dovette aspettare il 1930, quando il gerarca fascista Alessandro Pavolini decise di reintrodurre il gioco, organizzando il primo torneo tra quartieri fiorentini come rievocazione del passato glorioso della città e il 6 maggio 1930 fu disputata la cosiddetta “partita della rinascita”, a scendere in campo non erano più i soldati ma i fiorentini stessi, inizialmente la squadra dei bianchi e quella dei verdi, qualche anno dopo si aggiunsero anche i rossi e gli azzurri: queste quattro squadre sono le partecipanti al torneo ancora oggi, ognuna rappresenta un quartiere fiorentino, ognuna fa riferimento ad una chiesa della città, ci sono i Bianchi di Santo Spirito, gli Azzurri di Santa Croce, i Rossi di Santa Maria Novella e i Verdi di San Giovanni; nel mese di giugno si disputa il torneo, preceduto dal corteo storico che sfila per le vie della città, con i calcianti delle squadre e l’esibizione dei “Bandierai” degli Uffizi, prima le due semifinali, sorteggiate la mattina di Pasqua dal vescovo attraverso l’estrazione di quattro uova di marmo dei rispettivi colori, poi il 24 giugno, giorno del patrono di Firenze San Giovanni Battista, si disputa la finale, il premio è una vitella, di razza Chianina ovviamente, simbolo di prosperità.

Le partite hanno la durata di cinquanta minuti, il campo viene allestito solitamente in piazza Santa Croce, ricoperta per l’occasione di rena, ricreando così la cornice cinquecentesca, attorno al rettangolo di gioco vengono montati gli spalti, con le due curve e la tribuna centrale, in campo due squadre formate da 27 calcianti (4 Datori indietro, 3 Datori innanzi, 5 Sconciatori, 15 Innanzi o Corridori) una sola linea, quella di metà campo, lungo i lati corti del rettangolo due balaustre, sopra le quali viene allestita una rete, è lì che dovrà essere depositato il pallone per segnare il punto, detto “caccia” (se la palla finisce sopra la rete, verrà conteggiata mezza caccia a favore dell'avversario), non sono previste sostituzioni, infortuni e squalifiche lasceranno la squadra in inferiorità numerica, ed una delle strategie più utilizzate è proprio quella di costringere l’avversario ad abbandonare il campo per infortunio: gli scontri infatti sono molto violenti, le regole prevedono che ci si affronti 1vs1, non si può colpire l’avversario se a terra, ci si colpisce solo dopo che il rivale ha dimostrato di accettare lo scontro, scontro che deve essere circoscritto ad un tempo limitato. Le regole sono simili a quelle stabilite in origine da Giovanni de’ Bardi, ma queste non sempre vengono rispettate, per facilitarne il riguardo, ogni squadra prevede la presenza di un “Alfiere” e di un “Capitano”, loro non fanno parte dei 27, il loro compito è quello di aiutare il Giudice Arbitro, i segnalinee, il Giudice commissario e la figura più importante, il Maestro di campo, a sorvegliare sul rispetto delle direttive, inutile dire che spesso questi dettami non vengono rispettati e che gli scontri degenerano in vere e proprie risse, che necessitano a volte addirittura dell’intervento delle forze dell’ordine se non della sospensione della partita stessa, come nel 2006 quando una semifinale tra Bianchi e Azzurri fu interrotta a causa dei violenti scontri, o come quando nel 2014, la finale fu annullata dal sindaco di Firenze Nardella a causa delle troppe tensioni accumulate nel pre-gara.

Nel 2008 il regolamento fu in parte rivisto, si mise un tetto di età per i calcianti di 40 anni, per salvaguardare la “fiorentinità”, i partecipanti dovevano esser residenti a Firenze da almeno 10 anni ininterrottamente e non aver riportato gravi condanne penali; le nuove regole non furono ben accolte da tutti, tanto che i Verdi in segno di protesta decisero di non partecipare a quell’edizione del torneo. Ogni anno la tradizione si ripete, il cinquecento rivive, Firenze, città storica, ricca di arte e cultura, culla di letterati illustri, vive questo evento come qualcosa di unico, i fiorentini si dividono, ognuno a difesa del proprio colore, del proprio quartiere, per quei tre giorni non esistono amici, non esistono conoscenti, esiste solo il senso di appartenenza; così meccanici, operai, commercianti, dottori, impiegati, svestono i loro panni e indossano i costumi cinquecenteschi, liberano la mente e iniziano ad allenarsi duramente per prepararsi a scendere in piazza al meglio, non esistono professionisti, solo comuni cittadini fiorentini, con un lavoro, una famiglia, ma che in quei giorni si trasformano in gladiatori, in guerrieri pronti a versare sangue in difesa del proprio rione.

Per molti potrà sembrare tutto insensato, per i fiorentini no, scendere in campo con addosso i costumi storici del proprio quartiere, per il fiorentino non è un gioco, per il fiorentino è un onore, figurare tra i 27 selezionati che scendono in piazza rappresenta una responsabilità enorme: perché una volta chiusa la gabbia, una volta liberato il campo, si rimane da soli con le proprie paure, davanti 27 uomini che vogliono abbatterti, al tuo fianco 26 compagni pronti a difenderti, non ci sono armi, solo il tuo corpo, per difendere e per offendere, come cinquecento anni fa, nella tua testa il desiderio di gloria deve prevalere sulle paure, perché per quei cinquanta minuti, si è calcianti, in bilico, tra tradizione e follia.
Pensate sia un'esagerazione? Guardate qua!
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